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Il mio Pokémon preferito da piccolo era Machoke. Mia sorella mi prendeva in giro, mi diceva: sei omosessuale, facendo sentire bene i suoni, chiudendo in una risata. All’inizio stavo in silenzio, poi, crescendo iniziai a urlare – la reazione che tutti si aspettavano in sala da pranzo.
Non sapevo davvero se mia sorella mi insultasse. Certo, però, Zac Efron era bello, e pure Di Caprio – con il tempo ho smesso di dire quali fossero i miei attori preferiti (c’erano anche donne, ma sembrava non interessare a nessuno in salotto).
Crescendo mi innamorai, si chiamava Chiara. Poi piansi tagliando l’erba, mio nonno mi abbracciò mentre mio padre mi guardò stranamente, allontanandosi; quel suo sguardo nei miei confronti non passò mai. Smise di raccontarmi le storie sul bisnonno e riprese la bandiera garibaldina che mi aveva messo nel comodino, lì dal battesimo.
Mio padre salutò Chiara, dopo sette anni mi aveva lasciato. Un ragazzetto con la cresta, i muscoli, e la tartaruga ben definita di nome Marco l’aveva incantata.
Ho smesso di comprare carte Pokémon.
Mancava qualcosa in me, lo percepivo: nel Medioevo si diceva che il luogo in cui la cazzimma si depositava erano i testicoli; io li avevo ma ho pianto quando un pettirosso si è schiantato contro il vetro della mia camera.
Forse sì, forse Chiara non mi aveva lasciato per Machocke-Marco, forse mio padre faceva bene a guardarmi storto, forse mi mancava davvero qualcosa, forse ero omosessuale. Alzai la mano e mi picchiai ripetutamente la fronte, lo feci ogni volta in cui ebbi un dubbio.
Conobbi Sandra e con lei il sesso, per davvero.
Conobbi Giorgia e con lei un suo amico.
Conobbi Alessandra e la sposai.
Mio padre al matrimonio fu felice, mia sorella si commosse.
Non divenni mai Machoke.