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La F.O.M.O. — o fear of missing out — è la paura di perdere esperienze ed è il male peggiore del nostro tempo: tempo (quello moderno), sempre più breve e frammentario; sempre poco, sempre di meno. Ogni cosa va velocissima e noi dobbiamo stare al passo; ogni cosa accelera e si allontana: non crescere né migliorare è un fallimento. Perdere tempo è un fallimento. Perdere è un fallimento. Noi corriamo, ma quello che inseguiamo è l’orizzonte!
Mi è capitato — nell’ultimo periodo — di guardare, come molti del resto (penso), le Olimpiadi e (credetemi) io amo lo sport. Davvero. Dicevo: un giorno apro Instagram e trovo: «è il giorno più bello della mia vita» «ma veramente?» «questa è scema!»; uno scambio di battute e un commento, un atleta olimpico annichilito dalla retorica della performance, ‘perché arrivarci vicini conta solo a bocce!’ e poco male se hai 19 anni. Quarta?! Perché non terza, perché non seconda, perché non oro? Un centesimo cazzo, potevi impegnarti un attimo di più!
Ecco, io qui ho ripensato seriamente al mio rapporto con lo sport. Ho ripensato al bambino che guardava Bolt dalla tv dei nonni: un dio nero che correva fortissimo, giallo, coi colori del suo Paese addosso: un fulmine. Lui era la velocità, ma oggi penso: uno si allena tutta la vita, nell’ombra, per poter brillare 10 secondi e se perde? Ma scusa, io sono arrivato. E lo spirito olimpico?
La narrazione è tossica forse, ma nello sport si è sempre fatto così: c’è chi vince e c’è chi perde. Il problema — il mio almeno — è che questo modello è uscito dalla pista e ora si misura la velocità di tutto. Leggevo: «è importante far capire ai ragazzi che ciascuno ha i propri tempi: nessuno dice quanta ansia provochino, in un adolescente, queste date che continuiamo a dare, queste scadenze. Io a vent’anni sono finito in analisi perché ero ancora vergine, e il mondo intorno a me girava in modo da farmi sentire che ero anormale». Diciamo: ‘ognuno ha i suoi tempi’, ma chi li rispetta questi ‘tempi’? Oggi tutto è accelerato e se tu vai piano mi ostacoli, io devo andare veloce e pensare “Velocità, sono pura velocità!”; siamo indottrinati, sin da piccoli: tu sei un mio avversario, «i perdenti io me li mangio a colazione».
La corsa è la promessa e sembra che — alla fine dei conti — non ci sia nulla in palio. L'obiettivo non è l’accesso a un mondo migliore, ma a un mondo di possibilità. La promessa è poter fare più cose. Andare veloci serve a fare più cose in meno tempo per poterne fare altre. Ma quante vite servono per fare tutte le cose? Dicono che l’arte stia nel dare respiro, ma io mi sento soffocare da questo regime temporale dove lo spazio non c’è più, dove tutto si misura in tempo; da queste scadenze che appiattiscono la storia in un eterno presente, perché sì: il tempo viene dal futuro, ma il futuro — se arriverà — è già in ritardo.
Ho perso: qualcuno ha già fatto qualcosa prima di me. Giulia si è laureata a vent’anni.