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Nel 2019 - forse inizio 2020 - ho lanciato il mio blog. Il titolo era “Senza steccati”. Un’espressione che mi aveva colpito nel primo editoriale del giornale online “Open”, a firma di Enrico Mentana. Non ricordo il contesto, sta di fatto che rispecchiava la direzione che avrei voluto dare ai miei contenuti. Il blog ora non esiste più. Ha avuto vita breve: qualche mese, per un totale di due pezzi.
Il primo era una sorta di testo programmatico nel quale spiegavo che la nascita del nuovo spazio era sostenuta dal desiderio di condividere ciò che scrivevo. Soprattutto parole personali che, con il passare del tempo, avevano riscosso un limitato apprezzamento tra le persone che vi si erano imbattute. Il cuore era la speranza che il progetto potesse approdare - a tempo debito - alla vita reale; che, insomma, non si limitasse al mondo virtuale.
Il secondo era un testo personale, a cavallo tra reportage e biografia, il cui protagonista era il mio coinquilino curdo a Yerevan, durante i mesi dell’Erasmus. Avevo deciso di addentrarmi nel tema del ‘diritto al viaggio’ (che all’epoca non avrei chiamato in questo modo) raccontando come disporre di un passaporto piuttosto che di un altro spinga le persone a intraprendere viaggi rischiando tutto, anche la vita. Questo racconto era stato pure pubblicato in un blog universitario, forse da qualche parte ancora esiste…
Poi tutto è naufragato. C’è stato il covid, d’accordo, ma la verità è che non ero pronto a sostenere l’impegno di una pubblicazione regolare. Fino ad allora la scrittura era effetto di violenti moti interiori, improvvisi. All’opposto di un universo di scadenze e quantità di battute da rispettare. Steccati. Che, nonostante tutto, sto pian piano imparando a vivere con libertà. Ma per farlo ho dovuto camminare ancora un po’, approdando alla prima collaborazione e accogliendo i vari «riscrivi» e «non si capisce nulla»; e sbattendo contro il latino, con la professoressa che definì quello che avevo in uso un «italiano allo stato brado». Insomma, quel presunto spazio di libertà, senza barriere, si era dimostrato opprimente. Non intendeva però esserlo; era solo un me più giovane che non metteva la dovuta enfasi al posto giusto, cioè su ‘senza’.